Non frequenta, non dà esami e al padre che gli manda una cartolina vaglia con poco denaro e molti baci, risponde: «Meno baci e più quattrini». Fugge, oltrepassa le Alpi e viene rispedito a casa. Paga la bravata con un ricovero forzato nel manicomio di Imola e con una prima diagnosi di demenza precoce siglata da un punto interrogativo. È solo l’inizio di un susseguirsi di fogli di via, di ulteriori ricoveri, di tanti viaggi fin oltre l’Oceano, in Argentina. Ma la musica dolce della partenza e del ritorno lo riconduce a Marradi, ai suoi monti di cui apprezza l’aspetto primitivo e la linea severa e musicale che canta nei suoi versi. È cambiato nell’aspetto, porta una lunga capigliatura e una barba color biondo-rame, è stravagante nel vestire e un po’ strambo, ma nell’ambiente goliardico bolognese, dove ritorna, non è diverso dagli altri e si trova a suo agio. Anzi lo apprezzano, perché sa parlare di arte, di letterature straniere moderne, perché sorprende con le sue prose e i suoi versi, custoditi nelle ampie tasche del giacchettone, da dove emergono quando gli viene l’estro di rileggere e di rifinire. Non mancano a Dino l’iniziativa, il coraggio e la consapevolezza della sua arte che gli danno l’ardire di presentarsi a Soffici e Papini, illustri letterati fiorentini, a consegnare il quaderno manoscritto dei suoi testi per averne un parere.